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Cardinale Roberto di Ginevra, antipapa Clemente VII



Cardinale del quale si è parlato in diversi articoli sullo scisma della chiesa del 1378, oggi 20 settembre, data nella quale ricordiamo (a Fondi) l’elezione dell’antipapa Clemente VII, questo intervento approfondirà alcuni dettagli riguardo alla sua carriera ecclesiastica.

Proveniente da una famiglia feudale, nacque nel castello di Annecy nel 1342 da Amedeo III (conte del Genevese) e da Marie de Boulogne. Sin dall’infanzia fu destinato alla carriera ecclesiastica completando la sua formazione culturale studiando diritto canonico presso lo Studio di Parigi quando si trovò in Francia come canonico di Notre-Dame.

Divenne notaio papale a diciotto anni, mentre a diciannove fu nominato arcidiacono di Astorga, cancelliere della chiesa di Amiens, decano di Saint-Martin e prevosto di Léré nella diocesi di Tours. Fu anche prevosto di Saint-Barthélemy di Béthune nella diocesi di Arras. Tuttavia rinunciò a tali benefici poiché nel novembre del 1361, papa Innocenzo VI lo nominò vescovo di Thérouanne. Non visse, però, nella sede episcopale, ma governò la diocesi con l’aiuto di un vicario generale, Jean de Murol che studiò insieme a lui a Parigi e che era arcidiacono di Praga. Il cardinale di Ginevra preferì infatti restare alla corte papale di Avignone.

Nominato papa Urbano V, il nuovo successore di Pietro nell’ottobre del 1368 lo trasferì alla sede di Cambrai, promozione che non apportò modifiche alla vita del cardinale, il quale restò anche questa volta ad Avignone delegando nuovamente come vicario generale Jean de Murol.

Sappiamo che lasciò la sede pontificia nel 1370 per una visita pastorale presso la nuova diocesi.


Divenuto papa Gregorio XI, dalle lettere di quest’ultimo si narra che nella succitata visita pastorale, Roberto, fuori dai confini della diocesi di Cambrai, fu catturato e imprigionato nel castello di Quiévrechain dove minacciato, fu portato a farsi estorcere concessioni ai danni della sua chiesa, e successivamente il pontefice intervenne per difenderlo scomunicando gli aggressori.


Un anno dopo, alla fine del maggio del 1371 Roberto di Ginevra fu nominato cardinale prete dallo stesso Gregorio XI del titolo dei Dodici Apostoli. Ora, la posizione che ricopriva ad Avignone e la grazia del pontefice sono confermati dai molteplici benefici che gli furono attribuiti: gli arcidiaconati di Cambrésis, Fiandra, Lione e Dorset (Inghilterra); un canonicato con prebenda a Bonn, un’aspettativa a Colonia; la prevostura di S. Donaziano di Bruges, il rettorato di Orten e di Bois-le-Duc; in più, i priorati di Vico de Sos, Bollène, Etoy, Payerne e Douvaine.

Tra le concessioni, se ne ricorda una dell’8 settembre del 1371 con la quale il papa gli conferì altri benefici per una somma non superiore a 4000 fiorini da dividere tra le diocesi di York, Vienne e Salisburgo con la clausola che ognuna di queste chiese avrebbe dovuto concedergli un beneficio, condizione valida anche per le diocesi in Scozia.


Probabilmente furono motivi di interesse e di politica familiare che lo portarono a lasciare Avignone. Suo padre, Amedeo III (conte), morì nel 1367, e seguirono la contea i fratelli maggiori di Roberto: Aimone, scomparso subito dopo il padre; Amedeo IV (deceduto nel 1369), Giovanni, che seguì la sorte dei fratelli nel 1370 e Pietro. Giovanni nominò come erede il fratello Pietro, ma a quest’ultimo doveva succedere lo stesso Roberto.

Nel 1371 il cardinale nominò la commissione che elaborò il testamento di Amedeo III.

Una volta rientrato ad Avignone, prese degli incarichi importanti, tra questi il compito di ristabilire la pace tra il conte di Savoia (Amedeo VI) e il marchese di Saluzzo; si ricorda anche la questione dei negoziati con Firenze. Per questo incarico un dispaccio della Signoria in data 8 luglio 1375 riporta che Roberto di Ginevra cercò di evitare che la tensione tra la Chiesa e il Comune fiorentino sfociasse in un conflitto aperto. Riconoscente delle doti diplomatiche del cardiale, il papa nel 1376 lo creò legato pontificio per la Romagna e la Marca.


Da non tralasciare è la guerra degli “Otto Santi”; a Firenze il conflitto iniziò dopo aver sfruttato il malcontento delle città suddite della Chiesa, le quali furono appoggiate dalla città inducendole ad avere tendenze autonomistiche che erano sfociate in movimenti secessionisti. La città toscana prese l’iniziativa a causa delle mire espansionistiche sulle terre umbre di dominio pontificio. A sostenere la signoria ci fu Barnabò Visconti (signore di Milano), i Comuni toscani (per la maggior parte i signori delle città suddite del papa) che tra il 1375 e il 1376 cacciarono le guarnigioni accedendo alla lega capeggiata da Firenze. Papa Gregorio XI inviò Roberto di Ginevra per restaurare l’autorità pontificia in Romagna, nella Marca e nel Bolognese riuscendo a riportare all’obbedienza i rivoltosi pacificando anche l’Italia centrale. In questa maniera preparò le condizioni necessarie per far ritornare il pontefice oltre che il trasferimento della sede apostolica a Roma.

Il cardinale arruolò al servizio della chiesa i mercenari bretoni di Jean de Malestroit e di Silvestro Budes rimaste senza ingaggi per la stasi nel conflitto franco-inglese minacciando la valle del Rodano e Avignone nel maggio del 1376.

I contingenti venturieri a servizio del cardinale ricevettero per due mesi uno stipendio di 31.000 fiorini, e, un contratto dello stesso anno che prevedeva una condotta di sei mesi e diciotto fiorini mensili “per ogni lancia”.

Una volta preparata la spedizione, si mosse dalla Provenza per arrivare in Emilia in testa al suo esercito composto da circa 10.000 uomini portando con sé la “fama” di selvaggia ferocia oltre che di efficienza militare. Il primo obiettivo da raggiungere era quello di congiungersi alla compagnia di Giovanni Acuto e riconquistare Bologna che anche si ribellò alla Chiesa passando alla lega fiorentina. Firenze per impedire che il cardinale raggiungesse tale obiettivo, sollecitò inutilmente Barnabò Visconti a negare il passaggio nel milanese. Il 3 luglio riuscì ad entrare a Modena, mentre il 4 invase Bologna, nella quale si rinchiuse il comandante generale della lega antipontificia Roberto da Camerino. Fu ordita anche una congiura per rovesciare il gruppo al potere e restituire la città alla chiesa, dal cardinale legato che era d’accordo con il marchese d’Este e con la fazione dei Maltraverso. La congiura tuttavia fallì. Le circostanze costrinsero Roberto di Ginevra ad essere più duro nell’assedio rendendo più drastiche le misure contro gli avversari per portali a cedere. Nonostante le misure che prese in guerra, il cardinale non abbandonò le vie diplomatiche personalmente intraprese nei negoziati con Milano e Napoli. L’accordo con Milano fu sottoscritto agli inizi del luglio del 1376 nell’accampamento del cardinale in Val Salmaggia alla presenza del protonotaro pontificio Stefano Colonna e del cancelliere del Regno di Napoli Niccolò Spinelli.

Il papa comandò in interrompere l’assedio di Bologna dato che stava per rientrare definitivamente in Italia, ritirando l’esercito nella Romagna e nella Marca dove stabilì i quartieri d’inverno ponendo le truppe tra Cesena, Forlì, Faenza e Rimini.


Il ritorno del pontefice a Roma il 17 gennaio 1377, però, non portò la stabilità sperata in Italia. Si innescò un’ulteriore rivolta che fu soffocata nel sangue dall’esercito di Giovanni Acuto che Roberto fece venire da Faenza. La responsabilità di alcuni atti cadde su Roberto; atti che furono poi denunciati l’8 febbraio con una lettera che il Comune di Firenze inviò alle città alleate: Perugia, Arezzo, Fermo, Ascoli e Siena. Fonti coeve riportano l’accaduto affermando che Giovanni Acuto, non intenzionato a rinnovare “gli orrori” del sacco di Faenza propose al cardinale di consegnare i responsabili della rivolta ma il porporato rispose che voleva “sangue e giustizia”. Eppure sembrerebbe che questo racconto sia poco oggettivo, anzi è più probabile ciò che si riporta nella Cronaca di Bologna (Sorbelli) nella quale viene riportato: <<Quasi la gente non volea più credere né in papa né in cardinali: perché queste erano cose da uscire di fede>>.


La questione generò un raffreddamento dell’entusiasmo degli avversari della Chiesa. Bologna trattò con il cardinale che il 17 marzo firmò la tregua con la città, successivamente convertita in pace il 4 luglio. Altre città seguirono l’esempio di Bologna impedendo saccheggi e altre violenze che avrebbe nuovamente urtato la popolazione civile. Per riuscire a pagare le sue milizie Roberto decise di vendere la sua argenteria, la mitra e i gioielli nel novembre del 1377. Un anno dopo, nel marzo 1378 con il convegno di Sarzana si preparò la pace con Firenze e la Chiesa per volere di papa Gregorio XI, che però morì il 27 marzo del 1378. La pace venne sottoscritta dal suo successore, Urbano VI, il 16 luglio dello stesso anno presso Tivoli.


La morte del papa tuttavia avvenne in un momento nel quale la chiesa si trovava in crisi. Giravano voci di contestazione con atteggiamenti scismatici già emersi durante il soggiorno di Gregorio ad Avignone. Per mettere a tacere queste voci il pontefice emanò la bolla Futuris periculis con la quale si decise che una volta morto, i cardinali presenti nella Curia si sarebbero riuniti in un luogo da loro designato come più opportuno per eleggere il nuovo successore di Pietro in meno tempo possibile con una semplice maggioranza. Questa disposizione modificava le precedenti del diritto che regolava la questione da ormai due secoli richiedendo invece la maggioranza dei due terzi.

Per eleggere il nuovo pontefice, però, non si aspettarono i cardinali assenti da Roma, si parla di sei porporati, cinque dei quali erano ad Avignone, uno a Pisa per le trattative dei negoziati di pace. Nessuna fonte parla di deroghe alle norme canoniche concesse dalla bolla, soprattutto per il calcolo della maggioranza; anzi gli studiosi non sono riusciti a provare che i cardinali fossero a conoscenza della bolla stessa. Si è ipotizzato che questo modo di fare sia scaturito dalla formazione giuridica dei cardinali (in maggior parte noti canonisti) e dalla tradizione vista da altri caratterizzata da rigoroso rispetto delle leggi che dal 1179 regolarono le elezioni dei papi. Nonostante questi dettagli, però, la proclamazione del papa fu unanime. Il conclave si aprì la sera del 7 aprile e la mattina dell’8 emerse il nome di un prelato estraneo al Sacro Collegio: Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari eletto con quindici voti su un totale di sedici. Ad opporsi ci fu il cardinale romano Giacomo Orsini. Questo conclave fu caratterizzato da diversi tumulti popolari; Roberto di Ginevra (che voleva sconfiggere definitivamente il partito limosino), cercava un papa vicino ai suoi disegni e nelle trattative avviate dai cardinali per il nuovo conclave ebbe un certo rilievo. Come esponente della parte gallica del Sacro Collegio Roberto si appellò al cardinale Francesco Tebaldeschi al quale chiese l’appoggio per votare un prelato italiano estraneo al Sacro Collegio; si parla proprio dell’arcivescovo di Bari che legato agli Angiò di Napoli era già conosciuto sia ad Avignone che a Roma; in alternativa propose la nomina al Tebaldeschi in ragione del fatto che la sua famiglia governava sulle terre a confine con la penisola italiana. Anche la sua adesione era, quindi, importante per il “partito gallico”. Il Tebaldeschi, in effetti, era considerato il più romano dei cardinali “o almanco italiano” come era richiesto che fosse il nuovo papa dalle magistrature municipali e dal popolo stesso. Si dice che il cardinale di Ginevra si sdegnò nel venire a sapere che per Roma alcuni popolani girassero armati, alcuni di questi venuti dal Lazio per seguire il conclave e conoscere il nuovo pontefice.

Diverse genti in armi affiancavano le milizie cittadine e gli armigeri delle magistrature comunali e questo fatto generò paura nei cardinali; soprattutto in Roberto, che sapeva non essere ben visto dal popolo stesso. Il cardinale infatti la sera del 7 aprile prima di recarsi presso i palazzi vaticani per entrare nel conclave, uscì di casa indossando la corazza sotto la tonaca e il rocchetto; in tal maniera superò piazza San Pietro affiancato dai cappellani e dai conclavisti tra il popolo ormai tumultuante.


Sappiamo che nel primo scrutinio Roberto votò per sesto e votò l’arcivescovo di Bari, Bartolomeo Prignano, al contrario di Pietro Corsini che propose il cardinale Tebaldeschi. Il card. Prignano ottenne tredici suffragi su sedici superando la maggioranza dei due terzi. Roberto si espresse per lo stesso cardinale anche nel secondo scrutinio proposto “ad cautelam” dal Tebaldeschi che aveva previsto il diffondersi di accuse riguardo all’elezione del cardinale. L’arcivescovo di Bari quindi venne eletto al soglio pontificio avendo come solo voto contrario solo quello del card. Orsini. L’esito non fu subito di dominio pubblico poiché il cardinale Prignano non si trovava nel palazzo del conclave e c’era bisogno di un formale atto di accettazione. Nel frattempo il popolo mosso da svariate voci (prima l’elezione di un limosino poi del Tebaldeschi) irruppe nelle sale del conclave. Il collegio cardinalizio intimorito rivestì di abiti pontificali lo stesso Tebaldeschi ad esultanza del popolo; a nulla servì l’affanno del Tebaldeschi nel dire che il nuovo papa eletto non era lui. I cardinali temendo per la loro vita se si fosse venuta a sapere la verità, approfittando della confusione abbandonarono i palazzi vaticani. Tra questi era presente anche Roberto di Ginevra che scappò nel castello di Zagarolo.


A seguito della presentazione delle scuse del popolo, la situazione sembrava essersi calmata e i dodici cardinali presenti a Roma si radunarono nella cappella del conclave insieme all’eletto: Bartolomeo Prignano. Si appellarono al rituale tradizionale dove il nuovo pontefice venne intronizzato e presentato al popolo con il nome di Urbano VI. Alcuni cardinali e lo stesso Roberto sospettarono della validità e la legittimità di questa elezione, ma parteciparono comunque agli atti di governo del nuovo successore di Pietro e anzi Roberto gli fu molto vicino.

Era il 14 aprile quando Urbano VI comunicò all’imperatore Carlo IV della prima elezione al soglio pontificio ossia quella del cardinale Prignano arcivescovo di Bari. Il documento redatto da Roberto attirava l’attenzione sul fatto che l’elezione fu compiuta nel rispetto delle norme canoniche e che il Sacro Collegio fu unanime nei suffragi in favore di Prignano e che anzi il conclave si era concluso in una sola giornata.

Secondo quanto riportato dall’ambasciatore imperiale a Roma presso la corte di Avignone, Roberto contestava, in colloqui segreti, la legittimità di Urbano VI prendendo come riferimento il canone “si quis pecunia” del Decretum Gratiani che mette sullo stesso piano alla simonia il tumulto (sia esso popolare o militare) ragionando sul potere dei cardinali di deporre un papa illegittimo. A questo punto i cardinali potevano riunirsi per una nuova elezione papale secondo le disposizioni delle regolamentazioni. Eppure pare che non sia stata l’illegittimità a spingere Roberto di Ginevra a proporre un nuovo conclave quando invece il fatto che non furono esaudite le sue speranze, ossia: contava sul nuovo papa per avere un ruolo maggiore nella Curia. Urbano VI, però, più che ascoltare i cardinali era intenzionato a riformare i costumi sacerdotali a partire dall’alto clero e dal Sacro Collegio. Oltre a ciò quando il papa nominò il cardinale vescovo di Ostia Bertrand Lagier (preferendolo quindi), nel giugno del 1378 espose il fatto all’archiatra pontificio Francesco Casini.

In quell’anno i cardinali francesi, recita Treccani, “con la scusa di fuggire la calda estate romana” chiesero licenza di allontanarsi dall’Urbe ripiegando su Anagni dove accettò di proteggerli il conte di Fondi Onorato I Caetani. Il conte aveva le sue ragioni per non sostenere Urbano VI non solo per una storia che riguardava un debito che il pontefice non volle ripagare (un debito in realtà del predecessore Gregorio XI), ma la questione più importante fu che Onorato non ebbe la conferma di rettore di Campagna.

Il 2 agosto fu redatto il documento con il quale i cardinali “scismatici” scrissero il resoconto dei lavori del conclave sottolineando ancora una volta l’irregolarità dell’elezione di Urbano VI. Il 9 agosto, invece, nella cattedrale di Anagni fu letto il documento con cui i dodici cardinali non italiani affermavano la loro tesi avvenuta in “timore mortis” con la conseguente vacanza della sede apostolica.


Alla fine di agosto questi cardinali , per essere più protetti, si trasferirono a Fondi dove il 20 settembre 1378 nella cappella di castello Caetani elessero papa, o meglio antipapa Roberto di Ginevra con il nome di Clemente VII. Il 31 ottobre invece, l’antipapa Clemente VII fu incoronato nella chiesa di San Pietro a Fondi: si narra che la tiara che il camerlengo Pierre de Cros portò via da Castel Sant'Angelo fu imposta a Roberto non da un cardinale, ma dallo stesso conte Onorato I Caetani.

Bisogna anche dire che in tempo di scisma qualsiasi sforzo dell’antipapa Clemente VII, sia stati esso politico o pastorale/religioso, fu condizionato dal farsi riconoscere come papa legittimo.

A tale scopo si appoggiò sulla forza delle armi e su un’azione propagandistica; ma fu anche il re di Francia, Carlo V, a dargli forza e autorità. All’appoggio di Carlo V seguì quello di Luigi duca d’Angiò, i re di Castiglia, di Aragona e di Navarra. Per Urbano VI, invece, parteggiavano Inghilterra, Portogallo, le regioni francesi sottoposte al dominio inglese, e l’Impero (ad eccezione di Leopoldo III d’Austria e delle città tedesche).


Nella famiglia degli Angiò anche la regina di Napoli Giovanna I appoggiò il conte di Fondi e quindi l’antipapa Clemente VII. Anzi risulta che la regina Giovanna fu tra i primi sovrani europei ad aver riconosciuto, il 22 novembre 1378, la validità dell’elezione avvenuta a Fondi. Gli fece anche pervenire 64.000 fiorini arretrati del censo che il Regno di Napoli doveva alla Sede Apostolica. Onorato I Caetani fu confermato rettore di Campagna da Roberto di Ginevra.

A questo punto Urbano VI e l’antipapa Clemente VII credettero di risolvere la situazione scismatica aperta a Fondi con la sola forza delle armi. L’antipapa aveva dalla sua parte i mercenari brettoni di Jean de Malestroit, Silvestre Budes e i venturieri guasconi di Loius de Montjoie e Bernardon de la Salle; Urbano VI, gli contrappose Alberico da Barbiano e la Compagnia di San Giorgio composta da italiani che presero l’iniziativ


a nella lotta.

Il Montjoie fu sconfitto a Carpineto nel febbraio del 1379; si procedette ad occupare Roma e ad assediare Castel Sant’Angelo dalle milizie del condottiero romagnolo. Vedendo che i suoi non riuscivano a contrastare gli avversari, Clemente VII chiese aiuto militare al re di Francia. Infatti con le bolle del 17 e 20 aprile il duca Luigi d’Angiò (fratello del re) fu rivestito di alcuni territori del dominio pontificio (Ravenna, Ferrara, Bologna, Massa Trabaria, Marca d’Ancona, Perugia, Todi e il ducato di Spoleto) che il fratello del re di Francia doveva riconquistare con Roma nel tempo di due anni per Roberto di Ginevra. Quest’ultimo soprannominando i possedimenti con il nome di “Regno di Adria”, voleva che questo divenisse il secondo stato angioino d’Italia; progetto, questo, irrealizzato.

Successivamente il condottiero romagnolo sbaragliò a Marino i contingenti del La Salle, del Budes e del Malestroit permettendo a Urbano VI di rientrare in Vaticano. L’antipapa Clemente VII, invece, abbandonò Fondi e cercò rifugio nel castello di Sperlonga. Il 9 maggio, temendo il peggio si imbarcò a Gaeta per raggiungere Napoli dove la regina lo accolse e lo fece alloggiare presso Castel dell’Ovo. La città sapendo di questa presenza, si mosse in disordine e ancora una volta Roberto di Ginevra fu costretto a muoversi per trovare rifugio tornando a Sperlonga che comunque lasciò dopo una settimana, questa volta, abbandonando l’Italia. Entrò solennemente ad Avignone rafforzando non solo il legame con la corona francese ma anche la posizione contro Urbano VI. Nel frattempo in Italia la contesa religiosa provocata dallo scisma iniziò a basarsi anche su antichi contrasti e su tesi di lotta sulla situazione politica della penisola, il caso per eccellenza fu proprio il Regno di Napoli. L’autorità della stessa regina Giovanna era minacciata dall’opposizione del popolo fedele a Urbano VI, dal re d’Ungheria e dallo stesso Urbano VI che ben sapeva che ogni mossa della regina era puramente strumentale per il suo potere. La regina fu citata dal papa a Roma per rispondere delle accuse di eresia e di scisma oltre che a chiedere aiuto al re d’Ungheria e a Carlo d’Angiò Durazzo contro la regina scismatica.

L’antipapa Clemente VII nel frattempo non desisteva nel portare l’Italia meridionale ad ubbidirgli ragionando anche sui pericoli che correva la sovrana alla quale inviò sovvenzioni in denaro e per la quale cercò un protettore: il fratello del re di Francia. Secondo il progetto del “Regno di Adria” Roberto discusse della successione al trono di Napoli con l’appoggio di una potenza come fu per i sovrani di Francia. Nonostante le proposte Giovanna I non rispettò alla lettera i patti, probabilmente a causa di eventi imprevedibili, il primo tra questi la scomunica da parte del papa che l’aveva anche deposta perché eretica e scismatica.


Alla morte di Urbano VI nel 1389 Roberto di Ginevra volle essere riconosciuto come unico papa legittimo, ma i cardinali in un nuovo conclave elessero come successore Bonifacio IX. Bisogna aspettare ancora qualche anno prima che si risolva lo scisma, infatti neanche la Francia era più disposta ad appoggiarlo. Anche il nuovo sovrano Ladislao di Durazzo, incoronato da Bonifacio IX, re di Napoli e di Gaeta (1390) era in aperto contrasto con i modi di fare dell'antipapa. Roberto di Ginevra morì quattro anni dopo nel 1394 ad Avignone.


Fonte: Treccani


Immagini: ritratti dal web/palazzo Caetani, immagine de blog


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